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L’OBLAZIONE NELLE CONTRAVVENZIONI

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L’istituto dell’oblazione trova la sua disciplina negli artt.162 , 162 bis c.p. ed nell'art. 141 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale. L’art. 162 c.p. regola la cosiddetta oblazione ordinaria; esso stabilisce che “Nelle contravvenzioni, per le quali la legge stabilisce la sola pena dell'ammenda, il contravventore è ammesso a pagare, prima dell'apertura del dibattimento, ovvero prima del decreto di condanna, una somma corrispondente alla terza parte del massimo della pena stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento. Il pagamento estingue il reato”. Dunque, l’oblazione non è altro che una particolare causa di estinzione del reato consistente nel pagamento di una somma di denaro e riguardante le sole contravvenzioni. La disposizione suindicata è relativa all’oblazione cosiddetta ordinaria. Si tratta di un diritto dell'imputato a fronte del quale, in base a quanto si apprende dall'articolo 141, comma 4, disp. att. c.p.p., il Giudice, in caso di non accoglimento dell'istanza, pronuncia ordinanza restituendo gli atti al Pubblico Ministero, mentre, in caso contrario, fissa con ordinanza il quantum da versare dandone comunicazione all'interessato. Affinché il reato venga estinto occorre che l'oblazione sia effettivamente pagata. Ciò significa che, se il pagamento non è eseguito e, dunque, l'oblazione non è pagata, non ha luogo alcuna causa di estinzione del reato. L’istanza di oblazione ordinaria può essere effettuata prima dell'apertura del dibattimento oppure prima che si proceda per decreto di condanna. Nel primo caso, il difensore, munito di procura speciale, nelle eccezioni preliminari procede con il deposito della relativa istanza, oppure, laddove sia presente il contravventore, ne richiede l'accoglimento. La seconda ipotesi concerne invece tutti quei procedimenti per i quali il Pubblico Ministero ritiene di dover procedere con una pena pecuniaria anche in sostituzione di una pena detentiva. D’altronde, il secondo comma dell'articolo 141 disp. att. c.p.p., stabilisce che “Il Pubblico Ministero, anche prima di presentare richiesta di decreto penale, può avvisare l'interessato, ove ne ricorrano i presupposti, che ha facoltà di chiedere di essere ammesso all'oblazione e che il pagamento dell'oblazione estingue il reato”. Inoltre “l'istanza di oblazione non può essere subordinata o condizionata all'emissione di provvedimenti accessori, quale quello di restituzione dei beni, ma unicamente alla verifica delle condizioni per una pronuncia più favorevole ex art. 129 cod. proc. pen., sicché una diversa condizione deve ritenersi contra legem e perciò estranea alla domanda e, dunque, non apposta, secondo il principio quod abundat non vitiat” (Cass. n. 35706/2019). La legge 689/1981 ha introdotto l'articolo 162 bis del Codice Penale, rubricato "Oblazione nelle contravvenzioni punite con pene alternative". Trattasi dell'oblazione facoltativa o discrezionale, la quale trova applicazione nell’ipotesi in cui il regime sanzionatorio previsto dal legislatore sia quello dell'ammenda alternativa all'arresto. Tra l’oblazione ordinaria e quella discrezionale vi è una grande differenza: nella prima ipotesi, l'organo giudicante non entra nel merito dell'istanza, ma esercita soltanto un mero controllo formale; nel secondo caso, invece, il giudice compie una valutazione discrezionale.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'


CHI COMPRA IL CELLULARE A PREZZO TROPPO BASSO PUÒ COMMETTERE IL REATO DI ACQUISTO DI COSE DI SOSPETTA PROVENIENZA

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Sovente, volendo risparmiare nel fare un acquisto, ci si rivolge a dei conoscenti. Nel momento in cui però questi ultimi offrono un prezzo esageratamente basso su un prodotto che vendono come nuovo, occorre prestare attenzione, in quanto il bene potrebbe essere di illecita provenienza. Con la sentenza n. 37824 del 30 dicembre 2020 la seconda Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in merito al reato di acquisto di cose di sospetta provenienza, che trova la sua disciplina nell’articolo 712 c.p. Detto articolo al primo comma stabilisce che “chiunque, senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose, che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per la entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da reato, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda non inferiore a euro 10”. La Suprema Corte ha stabilito che commette il reato in questione chi compra a un prezzo stracciato un telefonino come nuovo da un conoscente. Nel caso in esame un imputato veniva condannato dal Tribunale di Catania alla pena di euro 500,00 di ammenda per aver commesso il reato di cui all’art. 712 c.p. (acquisto di cose di sospetta provenienza). L’imputato ricorreva in Cassazione, davanti alla quale sollevava i seguenti tre motivi: • con la prima censura il ricorrente lamentava la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità, considerato che dalle circostanze processuali non era emerso alcun profilo che potesse essere ricollegato alla colpa; • con la seconda censura eccepiva invece la violazione di legge e il vizio di motivazione relativamente alla mancata applicazione dell'art. 131-bis cod. pen.; • infine, con la terza censura contestava la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna. Il Tribunale Supremo, dichiarando il ricorso inammissibile, condannava l’uomo al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. In particolare, affermava che il Tribunale aveva “correttamente posto a base della sua decisione il principio giuridico secondo il quale per la integrazione dell'elemento psicologico del reato occorre dimostrare che l'agente non abbia usato la diligenza dell'uomo medio nella verifica della legittima provenienza del bene acquistato”. Inoltre, la Corte territoriale aveva negato la causa della non punibilità per particolare tenuità del fatto, in quanto l'offesa al bene protetto non risultava particolarmente tenue stante il valore economico del cellulare all'epoca dei fatti. In ultimo, l’imputato non poteva dolersi relativamente alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna, dal momento che il beneficio in questione non risultava né dalla memoria allegata al ricorso, né tantomeno dalle conclusioni adottate dal suo legale.

AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'